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La Cucina Afrodisiaca a Catania

Al ritorno dal loro viaggio sulla Luna, gli astronauti americani dissero di aver visto da lassù iL pennacchio di fumo emesso dai quattro crateri dell'Etna e come questo, valicando il Mediterraneo, giungesse visibile fino alle foci del Nilo. Per questo fenomeno, che si ripete sin dall'epoca greco-romana, gli Egiziani di Alessandria e del Cairo chiamano catanese il vento che spira dall'Etna verso ii delta del Nilo. Apollodoro era il cuoco catanese di Cleopatra, che seppe srotolarla giovinetta dal tappeto dove l'aveva avvolta, innanzi agli occhi artoniti di Cesarione (il rampollo che la regina d'Egitto scodellò a Cesare cinquantenne). La storia concesse un inatteso bis a Cleopatra quando, dopo qualche giorno dalle funeste idi di marzo, risalendo il Nilo sulla barca d'oro e con le seriche vele porporine gonfiate dal catanese verso Luxor, proprio Apollodoro seppe tranquillizzare la sua regina e l'amante romano - il potente Marc'Antonio, onorato da Cleopatra come Dionisio vivente - allorchè, portate dal vento, piovvero dal cielo minuscole palline nere sulle sue afrodisiache vivande che stava cucinando sul cassero. Disse che si trattava del ripuddu, scorie eruttate dall'Etna e che tanto bene facevano agli ortaggi e alla frutta del litorale del suo Paese, sull'altra sponda.

Dopo che gli Arabi si stabilirono in Sicilia, impiantando agrumi e gelsomino alle falde del vulcano più grande d'Europa, allo spirare del catanese sul delta del Nilo, in quel vento profumato si avvertirono nitidi effluvi di zagara e gelsomino d'Arabia, come pare accada ancora oggi.

Questi aneddoti per introdurre un argomento, gli ingredientii culinari afrodisiaci catanesi - e come procurarseli - che mi sta particolarmenre a cuore.

Catania ha quattro mercati. I due maggiori sono il grandioso Ortofrutticolo di via Amerigo Vespucci, che si estende per una superfice di 70.000 mq, e il mercato Ittico di via Cristoforo Cobombo, dove le contrattazioni cominciano alle 3 e si concludono alle 10, con un movimenro di pesce locale fresco e congelato di circa 7.000 tonnellare annue. Ma noi qui non ci occuperemo di questi, del resto simili a quelli di altre grandi città. Piuttosto, in forza del famoso adagio "dimmi come mangi e ti dirò chi sei", ci occuperemo dei due mercati popolari minori, al minuto: "a Fiera o luni" (la fiera del lunedì, ma oggi aperto tutti i giorni esclusa la domenica) e la millenaria Pescheria. Cominceremo verso le 8.30 dalla Fiera nella centralissima piazza Carlo Alberto, a due passi da via Etnea e da via Umberto. Si apre con la sua ridda di ombrelloni policromi innanzi al santuario di Maria SS. del Carmine dove, non molto dissimile dai souk nordafricani, si incrociano e si affastellano in esaltante confusione, frammiste alle tante offerte non commestibili, le bancarelle di ortaggi e verdure, pesci, carni, formaggi, legumi, frutta fresca e secca, olive salate e cunzate, nell'allettante maniera catanese (che le vuole condite con giardiniera all'aceto, funghi all'olio, origano, prezzemolo, aglio e rosso peperoncino). Le olive nere, grosse e brillanti, sono presenti in vane prezzature, anche infornate e sempre condite con olio locale e sedano.

Sono pronte per entrare nella pietanza afrodisiaca per eccelleuza dei meno abbienti (che non possono permettersi per il loro costo aragoste, astici, gamberoni imperiali e "occhi di bue", su cui torneremo): il pescestocco con le verdure amarognole. Qui lo stocco viene lessato a trance con i caliceddi, verdura spontanea delle vigne, condita da olio d'oliva, aglio e peperoncino, ed è la risposta catanese al celeberrimo pescestocco alla messinese. A chi mi dovesse chiedere in che cosa consiste il potere afrodisiaco che attribuisco alla ricetta del pescestocco verde con olive nere e i caliceddi, non ho difficolta a rispondere che la valenza gastronomica erotica è insita nel mirabile connubio fra le scaglie del pescestocco "ragno" e il brodo verde nel quale viene lessato, prodotto dalla verdura gradevolmente amarognola, perchè cresciuta nell'orto e nella vigna dell'Etna, cioè in quell'humus del ripuddu "radioattivo", ricco di azoto e potassio. Questi due elementi sono anche quelli che consentono al pistacchio di Bronte di presentare in dosi massicce la miracolosa vitamina E, detta della fertilità. Infine il caviale di olive nere (snocciolate) ed il peperoncino conferiscono alla pietanza altri input atti a stimolare un reale erotismo in individni non troppo vecchi o malandati.

Sempre a base di fresche derrate presenti in questo mercato, sono qui lieto di indicare altre corroboranti minestre a basso costo e di sperimentato valore nel suscitare un sano sentimento erotico. Se accanto ai ricci, i cui coralli condiscono spaghetti afrodisiaci, ci sono anche superbe vongole vive che spruzzano ancora schizzi d'acqua, dopo averle acquistate (Un chilogrammo è bastevole per un'energetica zuppa per due persone), torniamo in cucina, dove la sera prima abbiamo ammollato mezzo chilogrammo di ceci giganti. Lessiamo i ceci in acqua salata con una cipolla, rosmarino e qualche pomodorino di Pachino. Quando diventano teneri, facciamo aprire le vongole vive - dopo averle ben lavate in acqua e sale marino - in una padella di ferro con olio extra vergine d'oliva profumato da due spicchi d'aglio di Randazzo e due rotelline di peperoncino fresco. Spruzziamo un generoso sorso di vino secco dell'Etna e, una volta che si sono aperte tutte le vongole, uniamole col loro sughetto profumato alla zuppa di ceci scolati avendovi trattenuto un po' del brodo di cottura dei legumi. Perchè mai, da tempo immemorabile si direbbe in Sicilia amuri a brodu di ciciri? E questo detto è più antico del Vespro, allorquando i francesi venivano riconosciuti imponendo loro di dire Ia parola ciciri, che non sapevano pronunciare esattamente c pertanto finivano irrimediabilmente passati a fil di spada. Da quegli avvenimenti storici nacque anche il truculento canto di sapore gastronomico:

Ntà n'ura fa distrutta dda simenza: fu ppì tunnina salata la Franza!

L'energetico impiego di zuppe di verdure, con crostacei, pesci o carni, è cosa antichissima dalle parti della nostra Magna Grecia, a cominciare dalla famosa vellutina di fave secche, con profumo di finocchietto selvatico. Si tratta della stessa che, a sentire Aristofane nella sua commedia Le rane, consentì ad Ercole in una delle sue fatiche, di spulzellare, dopo aver appunto ingoiato una enorme zuppa di fave, ben diecimila vergini in una sola notte! Nessuna meraviglia, quindi, se il catanese amoroso si nutre ancor oggi con maccu di favi, in cui si possono sminuzzare spaghetti e, freddo e rappreso nella sua gelatina, può essere gustato anche a trance fritte, assieme alle polpettine di neonata, pesciolini minuti detti maccu. Già, macco e maccu per l'imminente battaglia amorosa! Chi scrive queste note crede di aver tutte le carte in regola per sentirsi abilitato, come addetto ai lavori, nel dare consigli sull'argomento, per aver pubblicato nel 1992 a Parigi presso l'editore Robert Laffont, in francese, ii libro, poi tradotto in vari lingue (meno che in italiano), Cinq mille ans de cuisine aphrodisiaque, con le ricette galanti di ieri e di oggi dei cinque continenti. Non ho voluto l'edizione italiana per mettere in difficolta le mie tante fans che mi copiano, cosi come è accaduto per il mio Il libro d'oro della cucina e dei vini di Sicilia (Mursia, Milano, 5 ed.), trovando tutto facilmente a portata di mano, visto che dal plagio non ci si salva. Comunque ringrazio la Vita, che mi ha fatto nascere tra l'antica gente dell'Etna, cosa che mi consente - a 75 anni passati - di essere ancora attivo, soprattutto per merito delle potenti derrate catanesi che, oltre all'additivo erotico, hanno più gusto e più profumo degli stessi prodotti agricoli che nascono in Australia o nelle due Americhe. Ecco perchè, giornalmente, resto estasiato davanti alle bancarelle dei mercati popolari di Catania. 0 chi belli pipi ajiu! canta il venditore di peperoni rossi, gialli e verdi che scintillano al sole. Non dice "quanto sono buoni", ma mette in risalto la loro bellezza, cosi come il vicino venditore di broccoli, nella sua vivace abbanniata, loda sempre la bellezza, anzichè la bontà dei suoi broccoli neri che possono finire lessati con la pasta o, meglio, affucati: cioè affogati, facendo stufare nel vino rosso le cime, assieme a pezzetti di caciocavallo ragusano piccante e acciughe salate e spinate. Ma i broccoli dell'eros popolare catanese finiscono anche in una ricetta che Catania condivide con Roma, dopo averne coniato l'elogio poetico senza pan che vi trascrivo:

Senta 'n ciàuru di brocculi fritti: Lu mè cori 'nzalata si fa!

che si può tradurre: "Mi stuzzica talmente il profumo dei broccoli fritti, che il mio cuore per il desiderio di mangiarli si assottiglia a fettine come per Insalata!". Scusate se è poco. Friggere le cime dei broccoli in olio d'oliva assieme a pezzetti d'aglio e d'acciuga salata e peperoncino. Poi immetterli in una zuppetta di ali e filetti di razza, pesce di poco costo chiamato in Sicilia picara e nel Lazio, dove la fecero conoscere i pescatori siciliani immigrati, arzilla.

Stiamo per concludere il nostro iter nel primo mercato di piazza Carlo Alberto, ma non possiamo non accennare alla profusione d'offerta di basilico majore dalle grandi foglie verdi che finiscono sulla pasta alla Norma, con le melenzane fritte e la ricotta salata grattugiata per imbianchire come una nevicata i sottostanti spaghetti o maccheroni rossi di salsa.

Questa offerta di basilico, prezzemolo, cipolle ed altro viene fatta al centro della strada di scorrimento, fra i barili marinari di acciughe, sarde salate e aringhe affumicate, davanti alle affollate bancarelle di olive condite, formaggi e ricotta fresca (con quella speciale in cavagna di giunco: ideale per cassate e tipiche crispelle fritte rotonde, dette sfince, dall'etimo arabo sfang, frittella, assieme a quelle oblunghe con l'acciuga salata). Date un'occhiatina, verso i margini della piazza, anche alle bancarelle di vestiti usati: per sole mille lire potrete trovare capi nuovi griffati, come ben sanno le signore bene di Catania, ma anche i turisti stranieri che giolosamente affollano questo mercato che chiamano, stando ben attenti alle borse, "mercato dei ladri", per l'indottrinamento ricevuto dagli autisti dei loro pullman. La domenica mattina la piazza si trasforma in "Mercato delle Pulci", con le buone occasioni. Percorrendo via San Gaetano alle Grotte, in ambo i lati affollata dalle più disparate offerte di casalinghi scarpe, borse, vestiti, musicassette, telefilm, ecc., eccoci in piazza Stesicoro dove vediamo di spalle la statua del genio catanese Vincenzo Bellini.

Dall'altra parte di via Etnea sono visibili i resti dell'anfiteatro romano che fu secondo solo al Colosseo. Poichè sono già le 10,30, affretteremo il nostro passo, percorrendo via Etnea, salotto di Catania, verso ii mare, alla volta della spagnolesca piazza Duomo, con la chiesa di Sant'Agata. Ma prima avremo modo di ammirare la facciata della Collegiata, l'Universitià e Palazzo degli Elefanti, sede del Comune, davanti alla statua simbolo della città: l'elefante in pietra lavica sulla fontana del Vaccarini, lì posto dopo il terribile terremoto del 1693. Di fronte a Palazzo dei Chierici accanto al quale s'erge la Fontana dell'Amenano, il flume sotterraneo di Catania, che dà il nome alla fontana, sbocca nella famosa "acqua a lenzuolo", sede del più antico mercato della città e che molto si avvale della scenografla barocca prestata dai palazzi che la racchiudono. Qui, in pieno giorno, brillano le grandi lampade sotto le volte del massiccio arco detto di Carlo V e la porta che immetteva al Porto Vecchio, l'unica rimasta delle otto che si aprivano nell'antica cinta muraria. Le lampade servono a far brillare con impensabili riflessi i grandi pesci: tonni, pescespada, cernie, continuamente annacquati e che vengono allegramente affettati dalle sapienti mannaie dei più capaci marinai catanesi. Un vero spettacolo di pesci grandi e pesci piccoli, con i masculini, le acciughine fresche del golfo di Catania, poi spinate e cotte con aglio, prezzemolo e peperoncino, cotte solamente in virtù dell'agro di limone che le sbianchisce. Hanno potere afrodisiaco? Mah! Gli anziani catanesi amanti del pesce azzurro del golfo sostengono di si: questa pietanza, ormai divenuta un antipasto, una volta veniva offerta al pasto della sera alle giovani coppie, assieme alla lattuga bollita e condita con pepe, aglio e olio e a un uovo à la coque, cotto nel brodo della lattuga. Il trittico di questa parca cena ha, in effetti, tutti gli elementi atti a favorire una rapida digestione, foriera di ottima predisposizione all'amore. Ma, su questo argomento, le massime preferenze vanno a Catania alle grandi patelle reali madreperlacee, dette "occhi di bue" alle quali, anche dai sub, viene data un'implacabile caccia, tant'è che il prezzo al chilogrammo ormai supera le 40.000 lire. Il mollusco dalle virtù afrodisiache viene consumato crudo, ma più spesso arrostito sui carboni e condito col salmoriglio, oppure fritto e fatto a pezzetti da servire assieme agli spaghettini aglio, olio e peperoncino. Molti scrittori catanesi, oltre al sottoscritto, si sono occupati di erotismo gastronomico, a partire dal poeta vernacolare Domenico Tempio, alla fine del '700. Sintomatico è che il primo libro moderno di gastronomia afrodisiaca sia stato pubblicato nel 1962 proprio a Catania da Olimpio Rompini: peccato che nel suo La cucina dell'amore, che occhieggia quella francese, non si sia soffermato su quella locale. Forse più utile risulta la lettura di Antonio Aniante, Vitaliano Brancati ed Ercole Patti, che qua e là nelle loro opere fanno affiorare i piatti del gallismo locale a tavola. Anche certi film hanno contribuito all'indicazione di Catania come la "culla della cucina afrodisiaca". Peccato che non se ne sia mai accorto il turismo, quello ufficiale, che avrebbe tutto l'interesse a promuovere questa istanza, mentre non muove un dito per fare scomparire lo sconcio del quartiere "a luci rosse" in San Berillo, nel cuore della città, con tante irriducibili vestali di colore. Ma torniamo ai nostri meravigliosi pesci: chi può, si procura alla Pescheria le bellissime aragoste, gli astici, le triglie di scoglio, i luvari imperiali, gamberoni e gamberi rosati di nassa e quant'altro qui scarica giornalmente la ricca e varia cornucopia del dio Nettuno, che a Catania rivolge un occhio particolare a Venere Anadiomene, ritrovata senza testa a Siracusa. I veri "devoti" della dea dell'amore nata dalle spume del mare, sono qui a Catania, anche se talvolta non sanno di professare un culto antecedente a quello di Sant'Agata, la Santuzza cittadina. Attorno alla Pescheria, dalla pittoresca piazza Pardo, dove si trova una simpatica trattoria nella quale torneremo, c'è tutto un dedalo di vie che s'intersecano con l'andamento della casbah del vicino Maghreb. Ogni porta è una bottega che espone la sua varia mercanzia: carni fresche, appena macellate, polli, tacchini, agnelli, capretti, maiali, vitelli, carne di struzzo e poi ghirlande di salsicce variamente disposte, involtini di vitello, falsomagri da cuocere. Poi ortaggi e verdure, le buonissime melanzane "seta", fichidindia. E poi ancora, senza soluzione di continuità, interiora di vitello a fortissima evocazione erotica: il "caldume" detto in dialetto quadumi; la popolare trippa, cantata dal maggior poeta erotico catanese Miciu Tempio, che fa augurare al suo emblematico personaggio Mmetta, omu mangiuni:

... tutta La sciara 'ntrà 'na botta canciarisi si vulissi in trippa cotta!

In questo quartiere pieno di colore e di vita (in mattinata, poi nel pomeriggio la ressa si rarefà) c'è grande profusione di legumi secchi, di farine (compresa quella di ceci per far paneLLe alla palermitana), semola per incocciare cuscus e poi tutta la frutta candita che serve per decorare cassate e cannoli, le ciliegine rosse che vanno poste sulle cassatine glassate a forma di seni con crema e che, ancor oggi, si ritengono votive per il seno reciso a Sant'Agata. Qui si vende tutta la frutta secca che serve per la composita pasticceria siciliana: mandorle, nocciole, noci, pistacchi verdi di Bronte. E poi ancora uva passa, pinoli, cedri canditi, accanto a cataste di meloni d'inverno o angurie estive e tanti pomodori costolati. San Marzano e pomodori di Pachino. Ma si è fatto mezzogiorno e la visione di tante godurie crude, risvegliando l'appetito, induce subito a cercare cibi cotti. Nell'ambito di questo colorato mercato ci sono almeno due simpatiche trattorie esclusivamente votate alla cucina popolare locale. La mia personale preferenza va alla trattoria La Paglia, per avere conosciuto il fondatore Turi, ora scomparso. Ci troviamo in via Pardo 23, nel cuore della Pescheria, con vetrine che si aprono anche sull'omonima piazza Pardo, fra le bancarelle dei grandi pesci: qui sono stati girati alcuni film di successo. Ora la cuoca-patronne è la focosa Maria La Paglia, figlia del fondatore, che gestisce assieme ai figli il vivace esercizio, dove il menù comincia con il rituale bicchiere di "zibibbo" secco offerto come aperitivo. Lo accompagneremo alla fatidica "sarda a beccafico" appena fritta e che consiste in due sarde spianate, aperte a libro, che racchiudono una stuzzicante farcia di mollica di pan carrè torrefatta con olio in padella, assieme a pezzetti d'aglio e acciuga salata spianata, poco uovo e formaggio, prezzemolo, peperoncino e scagliette di olive bianche in salamoia. Una volta che le due sarde rinserrano la farcia, vengono passate nell'uovo battuto, infarinate e subito fritte d'ambo le parti nell'olio. La farcia non viene irrorata da succo di limone e arancia, come avviene a Palermo dove, per l'omonima preparazione, una sola sarda viene arrotolata sulla farcia e poi messa a cuocere in una teglia per 10 minuti in forno. I catanesi ripudiano il succo d'agrumi perchè ritengono la beccafico palermitana un po' sdolcinata: ma hanno sicuramente torto essendo ben valide le due varianti. Poi si procede con l'antipasto che può essere composto da insalatina tiepida di polpo condito a strica sale, oppure da gelatina di maiale e vitello con alloro, spezie e succo di limone detta zuzo. Quindi spaghetti al nero di seppie in un sapido intingolo che più nero non si può. Come secondo, fatevi consigliare. Ma non chiedete mai espressamente piatti della "cucina afrodisiaca", non vi capirebbero nemmeno. La praticano, e basta.

Naturalmente fin qui abbiamo parlato di espressioni della cucina popolare ritenuta tradizionalmente erotica, essenzialmente povera. Ma Catania dispone di ben altri "santuari" di voluttuosa ed elevata gastronomia, che anch'io ho proposto fino a due anni fa nel mio "arcunè" club-ristorante "Fata Morgana", di via D'Amico 61. L'esempio di un mio menù?

Aperitivo "Angelica Bionda", con fumante "scacciatina dell'Arcunè", tuma e frutti di mare, antipasto nella scultura di pesce-limone con spuma di baccalà rosato ai gamberi di nassa e medaglioni di aragosta o astice o tartufi di mare. Poi il primo piatto che mi ha dato tante soddisfazioni: "alghe sultana nel pomo d'amore" alla bottarga. Sfogliatina di petali di roda al grill, con cuore di filetto di spigola maneggiato in salsa di coralli di ricci di mare. E per finire, torta normanna con ricotta e mele al calvados e pistacchi di Bronte. Da notare che di solito il mio menù veniva servito durante lo spettacolo offerto da Angelica, star dell'Opera dei Pupi, con i suoi spasimanti cristiani e saraceni. Ed ecco altri ristoranti catanesi che mi sento di consigliare per la loro alta espressione di enema, anche innovativa: "La Siciliana", dei fratelli chefs Salvo e Vito La Rosa, in viale M. Polo 52/A; "Poggio ducale", dello chef Nino Statela, in via P. Gaifarni 7 e, nella vicina Acitrezza, il "Galatea", di Vito Fusari. Verso la montagna, il ristorante "La Pigna", dell'Hotel Paradiso dell'Etna a S. Giovanni La Punta, affidato allo chef Pippo Laudani, presidente dell'Associazione Cuochi di Catania, e il "Parco dei Principi" (Zafferana Etnea), di Enza Cutuli con il figlio Sebi, con cucina dedicata al fungo porcino dell'Etna.

Foto di Giuseppe Leone - Testi di Pino Correnti Articolo © La Sicilia Ricercata

 

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